martedì 19 giugno 2012
SIA FATTA LA MIA VOLONTA’ – LE DIFFICOLTA’ NELL’ORGANIZZARE UN FUNERALE CIVILE (con video)
Sia fatta la mia volontà, la docufiction prodotta dall’associazione culturale Schegge di cotone e nata da un’idea di Emanuele Di Giacomo e Ottavia Leoni. Un’ora e venti minuti (rigorosamente no budget), diretti e interpretati da Paola Bordi, Elisa Capo e dalla stessa Leoni, per affrontare la questione “ingombrante” e dolorosa di cosa fare del corpo di chi muore. Un viaggio ironico e riflessivo intorno al tema della morte e ai suoi aspetti più pratici che parte dall’organizzazione di funerali laici – una vera corsa ad ostacoli – fino a toccare il tema più ampio del diritto alla libertà di scelta. Che riguarda, come spiegano gli autori, non soltanto la decisione di quale “rito scegliere” per l’estremo saluto, o a “quale destino” affidare il proprio corpo una volta finita la cerimonia, ma che investe anche “le delicate questioni del fine vita”.
La trama: una nonna chiede aiuto alle tre nipoti per pianificare il proprio funerale. La donna non vuole un rito normale (dove “normale”, in Italia, sta per religioso naturalmente) ma un funerale civile. Per soddisfare il desiderio della nonna, le tre donne iniziano prima a raccogliere informazioni in giro per l’Italia: dove si celebra un funerale civile? cosa si fa quando in una città non esiste una “sala del commiato”? c’è una ritualità consolidata per i funerali civili? esistono dei “cerimonieri laici”?
A queste domande, con la fiction che cede il posto al documentario vero e proprio, provano a rispondere esperti, personaggi noti e gente della strada. E le imbarazzanti telefonate a pompe funebri e cimiteri di mezza Italia rivelano non solo l’assoluta ignoranza circa la possibilità di celebrare funerali laici, ma proprio una difficoltà, innanzi tutto culturale, anche solo a concepire un’alternativa al rito religioso. Come a Catania, dove alla domanda se fosse possibile organizzare funerali civili, l’agenzia funebre risponde con un esilarante: “Se c’è una chiesa laica, bene, altrimenti non si può far nulla!”. Oppure a Bari, da dove le tre giovani si sono sentite ribattere: “Certo che è possibile: dipende dalla bara, se la volete di zinco oppure di legno”.
Insomma, nel 2010, organizzare un funerale civile in Italia è una missione (quasi) impossibile, soprattutto al Centro-Sud: nella maggior parte della città non esiste un luogo dignitoso, spesso, si tratta di sale mortuarie minuscole, altre volte, di luoghi di ripiego. E molte persone, quindi, non vedono altra alternativa a quella di recarsi in chiesa.
Certo, lo spazio è necessario ma spesso non è sufficiente. “Bisogna costruire una cultura funeraria che ancora non c’è”, spiega Carlo Giraudo nel documentario, cerimoniere al Tempio di Torino (il crematorio di fine Ottocento che ospita una bellissima sala del commiato), “questo significa” prosegue, “riuscire a tradurre un’esigenza di libertà in atti, riti, parole, silenzio, musica”. Insomma, in una liturgia laica.
Pochi sanno che a disciplinare lo svolgimento dei funerali è un decreto presidenziale che risale al 1990 e che, tra le altre cose, delega ai comuni la stesura di un regolamento per la disciplina della materia sul proprio territorio. Molti municipi però, oltre a non istituire la sala per le onoranze, non contemplano neppure la possibilità di ricordare il defunto nel caso la funzione non preveda il rito religioso. Risale al 2003, secondo governo Berlusconi, un disegno di legge che intendeva disciplinare le attività in materia funeraria. Non fu mai trasformato in legge e da allora è calato il silenzio. La stessa richiesta, avanzata dall’associazione Uaar nel lontano 2001, di modificare la disciplina, inserendo l’obbligo di normare lo svolgimento dei funerali civili è sempre stata ignorata.
Nel documentario, attraverso i funerali laici, il racconto approda al tema più generale del diritto alla libertà di scelta.
“Essere liberi di scegliere sulla propria morte”, raccontano gli autori, “si traduce anche nel poter decidere su quali trattamenti sanitari rifiutare o accettare; poter esprimere chiaramente la propria volontà, oggi, per quando non si sarà più in grado di esprimerla direttamente; poter stabilire quando i trattamenti sanitari diventano così gravosi da non permettere più una condizione di vita dignitosa”.
ANTEPRIMA DEL DOCUMENTARIO
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